Credente e non credente, donna o uomo, il lettore sappia che nelle pagine seguenti si accosterà ad un’esperienza fra le più laceranti che un essere umano possa attraversare, e insieme una di quelle meno indagate e meno considerate nel panorama del benessere psichico di molte donne.
Perché, per permettere alla verità di emergere, asserisce Cantelmi, occorre permettere un’indagine seria, libera, non strumentalizzata, dei capitoli dolorosi che hanno segnato la vita di molte persone
Cosa accade in una donna che pratichi l’aborto volontario, chirurgico o farmacologico?
Un fragoroso silenzio, al quale purtroppo il nostro Paese è avvezzo in materia di temi sensibili1, avvolge la questione del rapporto salute mentale ed Ivg.
In quasi tutti i paesi del mondo, dagli Stati Uniti alla Russia, dai paesi del Nord Europa ai paesi dell’Est Europa, è stata studiata la sindrome post-aborto, per le ripercussioni che l’evento crea nella donna che rinunci alla sua maternità2, ma se si cerca fra gli studi scientifici italiani si trova un’assenza imbarazzante.
C’è un diktat, tanto palese quanto sotto le righe, che impedisce alla ricerca e al pensiero scientifico di prendere seriamente in considerazione l’argomento.
Cantelmi introduce in Italia alcune novità di rilievo, soprattutto perché supera coraggiosamente il tabù della psichiatria nazionale decidendo che è tempo di parlare del peso psichico che portano addosso le donne che hanno rinunciato alla propria maternità, e poi perché mette in luce e promuove evidenze teoriche con dei risvolti clinici di enorme importanza.
Dal libro "La pietra della follia"